La sicurezza della circolazione è costituita dall’interazione di tre elementi, e cioè la strada, con le sue caratteristiche fisiche e strutturali su cui possono influire sensibilmente le condizioni meteorologiche; in secondo luogo il veicolo, con i suoi dispositivi di sicurezza, ed infine l’uomo, che riveste una priorità centrale essendo la causa largamente principale degli infortuni sulla strada.
Un approccio corretto del fenomeno, quindi, non può prescindere da una precisa tipologia di fattori, che hanno natura tecnica, natura medico-legale e psicotecnica, ed infine natura giuridica e giudiziaria.
Sotto il primo profilo, devono essere attentamente valutati gli standard qualitativi nella costruzione di autoveicoli e dispositivi di sicurezza in genere, dall’altro la realizzazione di strutture stradali sicure ed idonee a sostenere il peso del traffico stradale attuale, nelle più diverse condizioni climatiche.
Il bilancio può considerarsi sufficientemente positivo sotto il primo aspetto, giacché significativi miglioramenti, sia nella struttura degli autoveicoli (difesa dell’abitacolo mediante scocca assorbente l’urto) sia nei sistemi di sicurezza attiva (ABS[1], sistemi di navigazione antisinistro ecc.) e passiva (cinture di sicurezza, poggiatesta anatomici a sella, airbags[2]), si sono indubbiamente avuti grazie agli investimenti di ricerca delle case automobilistiche; per contro, il giudizio sulla efficienza e sicurezza della rete stradale non può essere del tutto positivo, giacché l’inadeguatezza e l’insufficienza delle infrastrutture viarie costituisce problema diffuso su tutto il territorio nazionale.
Il fattore uomo è assolutamente centrale nell’ottica della sicurezza stradale, infatti ricerche attendibili hanno dimostrato come ad esso vada ricondotta una percentuale elevatissima dei sinistri, non inferiore al 80-90% degli eventi dannosi (Whitlock,1971[3]).
Ciò investe problematiche di natura medico-legale e psicotecnica, inerenti l’effettiva idoneità ed attitudine alla guida e ai sistemi di accertamento delle stesse ai fini del rilascio e del mantenimento dei documenti abilitanti alla guida, nonché problematiche di tipo criminologico, ove si tenga conto che non pochi incidenti stradali non conseguono ad eventi accidentali bensì costituiscono il riflesso di una vera e propria scelta "sottoculturale" del conducente, che imita modelli di condotta che si ispirano alla violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale.
Si tratta di un fenomeno di particolare interesse, dal momento che costituisce una causa del tutto particolare dell’infortunistica stradale, che deve essere oggetto di attenta valutazione al fine anche poi di determinare un trattamento sanzionatorio caratterizzato da una certa effettività. In effetti la c.d. criminalità stradale può costituire una forma di devianza criminale vera e propria che si alimenta in forza dello scarso disvalore sociale attribuito agli eventi infortunistici stradali e parallelamente aiutata dalla limitata effettività del regime sanzionatorio.
E’ inoltre poco giustificata la ben diversa attenzione che viene riservata ad un procedimento per omicidio volontario rispetto ad un omicidio colposo: si tratta di situazioni che, da un punto di vista naturalistico sopprimono l’identico e fondamentale bene della vita umana e che tuttavia sono imparagonabili nella prassi giudiziaria, che riserva all’evento colposo spazi minimi e di assoluta routine, dominati da considerazioni tecniche sulla meccanica del sinistro (intesa come sintesi di statica, dinamica e cinematica) che, pur importanti per la ricostruzione della responsabilità, sembrano soffocare ogni profilo umano ed esistenziale, quasi ad esorcizzare asetticamente una vicenda tragica.
Il cittadino medio tende ad identificarsi, in quanto utente della strada, con il contravventore stradale e pertanto non intende criminalizzare le condotte di quest’ultimo poiché non intende criminalizzare se stesso. Ciò in quanto vi è una ampia adesione ad una particolare cultura (che affonda le proprie origini nel fascino generazionale indotto dalle epocali trasformazioni nel sistema dei trasporti e della motorizzazione dovute alle diffusione dei veicolo a motore), che vede nella velocità estrema dei veicoli e nell’abilità nella guida in situazione di obiettiva pericolosità un modello affascinante da imitare, che veicola in sé impulsi psicoanalitici[4] di sfida e di morte purtroppo tipici della società contemporanea.
Si innesca cioè quella che Sutherland[5] ha definito come associazione differenziale e che consiste in una causa sociologica della criminalità per cui la stessa si apprende per imitazione, soprattutto all’interno dei gruppi primari costituiti dalla famiglia e dai gruppi di amici. Per questo motivo, il criminale stradale non subisce quella stigmatizzazione sociale che produrrebbe un decisivo effetto specialpreventivo e la mancata reazione sociale determina il venir meno di una forma primaria di prevenzione, individuata dalla teoria criminologica della cd. "labelling theory[6]" e determinata dall’"etichettatura", che il trasgressore subisce come deviante e socialmente pericoloso.
Il c.d. criminale stradale percepisce il clima di impunità sociale che accompagna le sue trasgressioni e se ne alimenta per persistere nelle condotte illecite, percepite dalla collettività più come eventi sfortunati che come comportamenti criminali.
Sarebbe inoltre il caso di garantire effettività alla sanzione irrogata a chi commette reati alla guida di veicoli, al fine di fronteggiare un fenomeno di gravità drammatica per la società civile: ma attraverso quali strumenti?
L’uomo che commette reati alla guida di veicoli va studiato sotto profili diversi, per comprenderne a fondo, anche a fine preventivo, le peculiarità e al fine di irrogare sanzioni appropriate e differenziate. Sotto il profilo dell’età, si può rilevare una caratteristica tendenza di curva statistica ad “U”, per cui la fascia giovanile (tra i 18 e i 23 anni di età) e soprattutto quella senile (oltre i 65 anni) sono connotate dal numero maggiore di sinistri, mentre quella tra i 39 e i 50 anni è la meno coinvolta.
Per migliore chiarezza, si è rilevato come il fattore di rischio di sinistrosità di un ultrasessantacinquenne superi di 20 volte quello di un quarantenne, mentre quello di un ventenne lo supera di 3,5 volte.
Sotto il profilo del sesso, ferma una maggiore incidenza di sinistri causati da maschi, vi è una progressiva tendenza alla piena assimilazione tra uomini e donne in relazione alle trasgressioni stradali, pur con peculiarità specifiche.
La maggiore sinistrosità dei maschi, peraltro relativa, trova corollario nella valutazione degli effetti degli incidenti, che se provocati da maschi sono molto più gravi: si è potuto constatare che i maschi provocano 1 morto ogni 4 feriti , le femmine 1 morto ogni 7 feriti.
Le problematiche inerenti le condizioni fisiche e psicologiche del trasgressore introducono la necessità di valutazioni medico-legali e psichiche: quanto alle prime, si impone un accertamento specifico e approfondito sull’idoneità alla guida, in relazione ad eventuali handicaps motori, visivi, uditivi e fisici in genere, e una indagine su determinati connotati fisiologici quali la resistenza alla stanchezza e al sonno, che svolga un ruolo educativo sul conducente in relazione alla sua condotta futura.
In tal senso è fondamentale il ruolo delle Commissioni Mediche Locali Patenti[7], deputate a tale indagine. Quanto poi alle condizioni psichiche, è fondamentale individuare tutte le psicosi incompatibili con la sicurezza della circolazione, che potrebbe risolversi in fattori criminogeni particolarmente gravi: si è per esempio potuta riscontrare una elevata correlazione tra il c.d. disturbo antisociale della personalità e la sinistrosità stradale; come pure si sono individuate alterazioni quantitative di caratteri psicologici normali (psicopatie legate a caratteri aggressivi, esibizionisti, stressati), tra le quale la cd. risk taking behaviour (propensione a comportamenti a rischio), che costituiscono fattori predisponenti alla violazione di regole di sicurezza stradale, assimilabili all’assunzione di bevande alcoliche o sostanze stupefacenti.
La guida in stato di ebbrezza e sotto l’influenza di stupefacenti è un fenomeno di drammatica gravità in relazione ai fatti criminosi da circolazione stradale, al punto su questo versante della sicurezza è necessario estendere significativamente la prevenzione e la vigilanza, significativamente definita dalla dottrina anglosassone law enforcement (in italiano applicazione di legge), in quanto gran parte delle contravvenzioni per guida in stato di ebbrezza vengono rilevate solo in occasione dei sinistri, circostanza che ben illustra la necessità di incrementare i controlli preventivi.
Si sono potute rilevare alcune caratteristiche individuali strettamente correlate a fatti infortunistici. Si tratta anzitutto di connotati psicosomatici, costituiti da alterazioni, insufficienze o disfunzioni tali da implicare difficoltà nella realizzazione di manovre di media ed alta complessità, che si risolvono in vere e proprie predisposizioni agli incidenti (accident proneness[8]) .
Tali fattori possono avere non solo natura fisiologica o psicomotoria, ma anche psicologica, con particolare riferimento alla cd. recidiva sinistrosa e alla conseguente paura di rivivere l’esperienza del sinistro, che paralizza il conducente e lo predispone a subire altri incidenti oppure, infine, sociale: infatti la frequentazione di discoteche, con la conseguente prolungata esposizione a giochi violenti di luci e a rumori costanti superiori a 40 decibel, costituisce, a prescindere dall’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti, un rilevante fattore che predispone al sinistro; analogamente, l’uso ormai frequentissimo di telefoni cellulari in assenza di dispositivi c.d. viva-voce determina una rilevante menomazione della condotta dell’autovettura (specie se priva di cambio automatico) e nel livello di concentrazione alla guida, senza che a tale comportamento consegua un trattamento sanzionatorio adeguato (l’articolo 173 del codice della strada[9] sanziona tale condotta con una ammenda da Euro 68,00 a Euro 275,00).
Non si può sottacere, in una siffatta analisi del fenomeno, una certa incidenza del fattore inerente la nazionalità del conducente: lungi dal volersi propugnare tesi razzistiche, è dato di fatto noto che i cittadini stranieri, ed in particolar modo quelli extracomunitari, talvolta si rendono responsabili al volante di autoveicoli di condotte irregolari anche di elevata pericolosità, per una molteplicità di fattori, spesso interattivi:
1) nella normalità dei casi, gli extracomunitari hanno conseguito la patente di guida nei loro paesi d’origine, ove le condizioni di traffico sono imparagonabili a quelle della nostra realtà sociale, per intensità e strutture viarie; ciò fa sì che gli stessi sono in difficoltà nel coinvolgimento in condizioni di traffico denso e complesso.
2) in talune situazioni alcuni cittadini stranieri (ambito extracomunitario), approfittando delle difficoltà di accertamento e controllo sul punto, si pongono alla guida privi di adeguati corsi di apprendimento e con patenti false, apparentemente rilasciate dai paesi di origine ove risulta quasi impossibile verificarne l’autenticità.
3) in casi non rari, le condizioni di disagio personale e sociale dovute alle difficoltà di inserimento nel nostro Paese, determinano l’abuso di sostanze alcoliche se non stupefacenti, i cui riflessi sull’idoneità alla guida sono tristemente e tragicamente noti.
La necessità di verificare l’idoneità psicotecnica, sotto ogni profilo, alla guida di veicoli a motore di ogni tipo da parte di tali soggetti è pertanto un auspicato dovere da parte delle autorità preposte a ciò nel nostro ordinamento giuridico.
In una prospettiva generale, autorevole dottrina penalistica (Mantovani[10]) riconduce la predisposizione a violare norme sulla circolazione stradale a:
a) cause psicosomatiche, tra le quali la carenza di intelligenza e la conseguente limitata capacità di prevedere ed evitare il sinistro;
b) fattori caratteriali quali l’aggressività, l’asocialità e la tendenza a commettere comportamenti devianti;
c) trasmissione subculturale dei comportamenti illeciti stradali .
Lo stesso Autore, in ottica criminologica, distingue i delinquenti "stradali" in:
1) conducenti accident prones per cause psicosomatiche o psicotecniche, per i quali la prevenzione si esplica mediante interventi restrittivi o limitativi della patente di guida (divieto di guidare di notte o in strade a scorrimento veloce ecc. ecc.);
2) conducenti che sono criminali della strada così come sono criminali comuni, per i quali la attività preventiva si deve ispirare alle strategie generali per la prevenzione dei comportamenti devianti;
3) conducenti normali che trasgrediscono le norme stradali per assimilazione a modelli sottoculturali appresi per imitazione, che sono la tipologia più numerosa e in relazione ai quali l’attività preventiva, di tipo culturale ed educativo , potrebbe determinare i risultati più significativi.
Sarebbe auspicabile, anche nel campo dell’infortunistica stradale a valenza penale, l’intervento sul trattamento giudiziario e sulla politica criminale cui si ispira il legislatore, che non può prescindere dagli apporti empirici delle scienze criminologiche .
Il fenomeno è talmente grave che dovrebbe per questo occupare una centralità assoluta nella attenzione delle Autorità Istituzionali, in quanto genera, nonostante i sensibili miglioramenti della qualità e tempestività dei soccorsi, circa 320.000 feriti di cui 20.000 disabili gravi ogni anno, e circa 6000 morti, con costi sociali enormi, stimati in non meno di 35.000.000 di Euro (pari al 2,7% del P.I.L. secondo una statistica dell’anno 2003), molti dei quali solo per indennizzi erogati da assicurazioni per danni a persona.
Le sofferenze delle vittime della strada, i riflessi sotto il profilo dei postumi invalidanti e delle inabilità temporanee, che incidono fortemente anche sulle occupazioni professionali e sulle esigenze produttive, le conseguenze di natura psicologica e i danni morali riportati in occasione di gravi sinistri con morti e feriti, rendono l’infortunistica stradale letale quasi al pari di una guerra civile.
Si aggiunga poi il contenzioso risarcitorio che si apre tra infortunati e assicurazioni, che ha costi, in termini finanziari e di risorse sociali e giudiziarie, a dir poco rilevantissimi. Purtroppo a tutt’oggi si è dovuto constatare un atteggiamento non sempre da tutti condivisibile dell’evoluzione normativa, come ad esempio la legge 689 del 1981 che ha degradato le lesioni colpose, anche gravissime, a reati procedibili a querela di parte, con ciò quasi deresponsabilizzando l’autore dell’evento (seppur colposo) e riducendo un danno gravissimo, quale la perdita di arti o invalidità rilevantissime, ad un fatto privato da risolversi mediante contrattazioni pecuniarie tra avvocati ed assicurazioni.
Con le recenti modifiche normative si è avuto modo di constatare – con particolare sollievo da parte dello scrivente – che il legislatore ha inteso porre nuovamente il giusto accento su questa tipologia di reati. Si sono aumentate le pene, sono state aumentate talune sanzioni accessorie e ne sono state introdotte di nuove, si è accelerata la procedura per il risarcimento delle persone danneggiate in un incidente stradale, si è introdotta la patente a punti.
Un tale impegno è di certo basilare per cercare di diminuire al massimo l’incidenza negativa del fenomeno dell’infortunistica stradale, ma da solo non può bastare. Ci vuole una nuova cultura della legalità che per germogliare in ognuno di noi ha bisogno di aiuti non solo legislativi ma anche di quelli di più modesta rilevanza giornalistica – come la famiglia, la comunità, e la scuola - ma di enorme importanza sociale.
[1] L'ABS (acronimo di Antilock Braking System o Antiblockiersystem) è un sistema di sicurezza che evita il bloccaggio delle ruote dei veicoli in fase di frenata. Permette il mantenimento della guidabilità durante le frenate di emergenza e una riduzione degli spazi di frenata. La nascita dell'ABS viene datata al 1978, anno in cui, prodotto dalla Bosch, venne introdotto sul mercato. In realtà era dall'inizio del XX secolo che l'azienda tedesca sviluppava questo sistema, già nel 1936 a Robert Bosch venne assegnato il brevetto n. 671925 per un ”dispositivo anti-incollaggio freni”. Lo sviluppo dell'ABS elettronico però, che culminò con il suo debutto sulla Mercedes Classe S nel 1978, iniziò solo nel 1965. La prima automobile italiana ad essere dotata di questo sistema fu, nel 1984, una Lancia Thema. Da allora lo sviluppo dell'ABS ha portato ad una continua diminuzione del peso e del costo di produzione, permettendo la sua adozione su automobili sempre più piccole ed economiche. Inoltre ad esso sono stati integrati nuovi sistemi di sicurezza come il servofreno, l'EBD (Ripartitore elettronico della frenata), l'ASR (Controllo elettronico della trazione) e l'ESP (Controllo elettronico della stabilità).
[2] L'AIRBAG (in italiano detto anche cuscino salvavita) è un dispositivo di sicurezza passiva installato all'interno del volante, della plancia, dei sedili o del padiglione di un'automobile. È costituito da un pallone che, al momento di un violento urto della vettura, ad esempio in un incidente stradale, viene gonfiato da una piccola carica esplosiva, in modo tale da evitare che la testa e altre parti vitali degli occupanti colpiscano elementi contundenti dell'abitacolo. Se sono presenti in una vettura è estremamente importante indossare le cinture di sicurezza. L'airbag viene gonfiato in pochi decimi di secondo ad una velocità di circa 80 km/orari, che può spingere all'indietro la testa del conducente. Perciò, è importante che il poggiatesta del sedile sia realizzato con un materiale morbido o imbottito, e abbia una forma inclinata ad angolo acuto. Una forma simile evita il rischio di una contusione cerebrale, perché il cervelletto/epitelio non impattano sul poggiatesta.
[3] Whitlock, Francis A. Titolo: ««Death on the road - Sottotitolo: a study in social violence» - Pubblicazione: London: Tavistock Publications, 1971.
[4] Psicoanalisi, termine coniato nel XX secolo unendo le parole psico e analisi (sul modello tedesco di psychoanalyse), definisce una particolare teoria psicologica che propone un modello di funzionamento della mente e dei processi psichici dell'uomo da un punto di vista dinamico, con particolare enfasi sull'inconscio, i sogni e la sessualità infantile; è usato anche per indicare il metodo terapeutico che in quella teoria ha le sue basi, appunto il metodo psicoanalitico. Fondatore di questa disciplina è stato Sigmund Freud. La psicoanalisi si pone come scopo precipuo quello di individuare le cause delle nevrosi non in rapporto a specifici fatti traumatici accaduti in un passato più o meno remoto, ma in funzione di una possibile e complessiva distorsione della personalità conseguente ad un disarmonico sviluppo dell'istinto. Oltre che un metodo di cura, la psicoanalisi è anche una metapsicologia, ovvero una teoria del funzionamento della mente umana.
[5] Sutherland e Cressey definiscono associazione differenziale una situazione favorevole all'assunzione del comportamento deviante. Essa si basa sulla constatazione che l'apprendimento del comportamento criminale non è differente nelle sue modalità dall'apprendimento del comportamento conforme; perciò un individuo diventa criminale quando le sue esperienze e le sue relazioni sono per lo più sfavorevoli nei confronti del rispetto della legge e più forti di quelle favorevoli. Questa sorta di bilancio che il soggetto effettua prima di compiere l'azione e la presenza nella società di gruppi sociali con valori subculturali accrescono la possibilità di aderire a comportamenti giudicati devianti da alcuni e conformisti da altri.
[6] Edwin Lemert, nonostante la sua ritrosia a riconoscersi in un preciso orientamento sociologico, può esser considerato il precursore di quella corrente sociologica sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni cinquanta e che è andata sotto i nomi, a seconda dei casi, di neo-chicagoans, di west coast school o labelling theory.
[7] La Commissione medica locale è presieduta, di norma, dal Responsabile della medicina legale della ASL in cui è ubicata, e composta da altri due medici e integrata (nel caso delle patenti speciali) da un medico dei servizi territoriali della riabilitazione e da un ingegnere della carriera direttiva della M.C.T.C., a sua volta la CML può avvalersi di esperti (art 330 del Regolamento del CdS).
[8] Accident-proneness della predisposizione ad infortunarsi.
[9] D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, Nuovo codice della strada, in G.U. 18 maggio 1992, n. 114 – Articolo 173. «Uso di lenti o di determinati apparecchi durante la guida 1. Il titolare di patente di guida, al quale in sede di rilascio o rinnovo della patente stessa sia stato prescritto di integrare le proprie deficienze organiche e minorazioni anatomiche o funzionali per mezzo di lenti o di determinati apparecchi, ha l'obbligo di usarli durante la guida. 2. È vietato al conducente di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, fatta eccezione per i conducenti dei veicoli delle Forze armate e dei Corpi di cui all'articolo 138, comma 11, e di polizia, nonché per i conducenti dei veicoli adibiti ai servizi delle strade, delle autostrade ed al trasporto di persone in conto terzi. È consentito l'uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie (che non richiedono per il loro funzionamento l'uso delle mani). 3. Chiunque viola le disposizioni del presente articolo e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 68 a euro 275».
[10] Ferrando MANTOVANI Professore Ordinario di Diritto Penale nell’Università degli studi di Firenze.
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