venerdì 23 aprile 2010

Viaggio nel pianeta della patente a punti

Hanno buoni motivi i patentati italiani per preoccuparsi dei punti della loro patente?
Certo che li hanno.
Lo spirito di conservazione della licenza di guida è paragonabile ormai solo allo spirito di conservazione a tutela della propria vita. Lo dimostrano i crescenti episodi di pirateria stradale, nei quali la vita degli altri ormai vale come uno straccio di fronte alla necessità di salvare la propria patente. Se ne parlerà nel prossimo numero de il Centauro di aprile, la rivista ufficiale dell’Asaps.
Ma ci sono poi buone probabilità di perderli questi preziosissimi punti? In questo caso la risposta è inequivocabile: no! Vediamo di capire perché. Innanzi tutto noi automobilisti abbiamo intuito da tempo che perdere i punti alla fine è abbastanza improbabile. Poca vigilanza “fisica” sulla strada, molta elettronica che però permette di dimenticarci di dire chi guidava. Recuperarli poi i punti è molto semplice. Cosa si deve fare? In molti casi niente, basta non commettere più infrazioni (o non essere beccati a commetterle) negli ultimi 2 anni e si riconquista la quota base di 20 punti.
Nel frattempo i bravi (o fortunati) al 1° luglio 2009 ne hanno già accantonati altri 6, (2 omaggio per ogni biennio di buona condotta) e sono arrivati a 26. Se proprio si dovesse fare un corso per recuperarne qualcuno, sappiamo tutti che si tratta di una farsa senza verifiche ed esami finali. Ma vediamo come sono andate le cose da quel lontano 1° luglio 2003 quando la patente a punti è entrata in servizio permanente effettivo nel nostro Paese. Secondo i dati resi disponibili dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti i punti totali prelevati al 31.12.2009 sono stati 58.467.823.
Se si considera che sono stati spalmati su 35.606.242 patenti attive (solo di recente si sono aggiunti i certificati dei ciclomotoristi), si può arrivare a dire che ad ogni patentato sono stati prelevati 1,642 punti di media in 6 anni e mezzo.
Cioè appena 0,25 punti all’anno per ogni patentato. Non ci sembra che si possa parlare proprio di una strage. Certo poi nel mucchio c’è quello che ha contribuito di più e quello che ha contribuito meno. Se si considera che i punti sono stati prelevati sulla base di 14.371.554 violazioni ne scaturisce un rapporto infrazioni/conducenti di 0,40, nei 6 anni e mezzo (0,06 di media annua).
I più birbaccioni alla guida sono stati i giovani della fascia 20-24 anni che hanno perso mediamente 2,346 punti, seguiti dalla fascia successiva 25-29 anni con 2,308, poi via via si scende e dopo i 40 anni si passa sotto la media nazionale con 1,543 punti persi nella fascia 40-44 anni, 1,403 fra 50-54 anni e 1,199 fra gli over 65.
In assoluto i maschi adottano comportamenti più a rischio.
Ben il 75,98% dei punti sono stati prelevati proprio a loro. Alle donne il 24,02%. Uno dirà, certo sono in numero nettamente maggiore fra i patentati! Non è esattamente così. I patentati maschi sono il 57,27%, le femmine il 42,73%. Rimane molto spazio sulla percentuale del prelievo di punti. Però, si badi bene, i conducenti che hanno ultimato il corso per il recupero punti in questi anni sono stati solo 230.946, cioè appena 1,6% di quelli che li avevano in parte persi. I punti totali recuperati sono stati solo 1.487.636, appena il 2,5% dei 58 milioni di punti persi.
Le infrazioni che più hanno fatto pagare pegno? Velocità (fascia oltre 10 e non oltre 40 km/h oltre il limite), mancato uso delle cinture, attraversamento col semaforo rosso, uso del cellulare. Fra quelle che hanno causato più punti detratti si aggiunge la velocità oltre i 40 km/h.
Insomma cosa dire? La pap comincia ad evidenziare chiari segni di stanchezza. Serve una revisione dei meccanismi di prelievo. Inoltre, a nostro parere, ok all’elettronica del tutor e dell’autovelox, ma sarebbe anche ora di recuperare un po’ più di fisicità delle divise su strada, per identificare lì per lì chi guida, per accertare più cinture, più telefonini, più sbronzi al volante.
Ma intanto gli organici languono e stare sulla strada fra offese, minacce e aggressioni è sempre più difficile e scomodo.
Si ha la sensazione come se ci si voglia un po’ defilare dal confronto controllori/controllati su strada, per timore di perdere, spesso anche davanti ai GdP, non ai punti, ma per KO.

Forlì, lì 31.3.2010

Giordano Biserni
Presidente Asaps

Nuove regole per l’abbigliamento dei motociclisti Solo sicurezza o anche business? Il coraggio di dissentire Vi spieghiamo perché

La sicurezza stradale è un business? Il quesito non è di semplice risoluzione, ma noi rispondiamo “sì”.
È un settore talmente vasto, e necessario, da aver radicalmente cambiato, nella storia del motore a scoppio, intere filosofie di progettazione e di produzione, creando indotti nuovi e distruggendone altri.
L’ultima novità, dopo tanta sicurezza “preventiva”, è il disegno di legge in via di approvazione (Atto Senato 1.720) che imporrebbe – nel caso di una sua entrata in vigore – una serie di prescrizioni in materia di abbigliamento e protezioni per motociclisti che rischiava di finire sulla Gazzetta Ufficiale in silenzio, se non fosse stato per una generale levata di scudi da parte di una moltitudine di blog.
Ci vuole coraggio a dissentire, quando nelle pieghe di una proposta così articolata, ricorrono parole come “sicurezza” e “protezione”.
Tuttavia, pur riconoscendo all’iniziativa una matrice samaritana, dobbiamo alzare la mano e dire, con ragione di causa, un categorico “no”.
Certo, nulla in contrario all’obbligo di prevedere, per i ciclisti che circolino nelle ore notturne, l’obbligo di indossare un gilet retroriflettente (introduzione del comma 9bis all’articolo 182); siamo meno d’accordo, invece, sulla possibilità che i conducenti dei veicoli speciali per il trasporto e la raccolta dei rifiuti, nelle modalità previste dal comma 8/b-bis dell’articolo 172, possano beneficiare di un’inspiegabile esenzione dall’obbligo di indossare le cinture di sicurezza. Infine, siamo assolutamente contrari alla possibilità di consentire l’uso di lampeggianti e sirene (estendendo l’articolo 177) ad ambulanze per animali o per veicoli destinati alla vigilanza zoofila.
Questa è una vera e propria assurdità, come se non ci fossero già troppi dispositivi supplementari d’allarme a creare il caos sulla strada: la polizia idraulica, i servizi di trasporto organi “fai da te”, le auto dei servizi sociali di molte associazioni di volontariato, i gruppi per l’antincendio boschivo e perfino servizi di polizia eco zoofila.
Ma il DDL opererebbe sostanziali modifiche anche sul dettato dell’articolo 171 del codice della strada, quello che oggi reca un titolo che conosciamo fin troppo bene: uso del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote. Tuttavia, se tutti quelli che si trovano in sella ad un motoveicolo – sia esso un ciclomotore che un motociclo – devono obbligatoriamente indossare un copricapo difensivo, l’improvvisa (e improvvisata) modifica sarebbe imposta solo ai motociclisti, lasciando indietro – ad esempio – una categoria incredibilmente debole, come quella dei ciclomotoristi.
Per loro nessun cambiamento. Nemmeno in materia di casco, che diventerebbe obbligatoriamente integrale per i motocicli oltre 125cc: più sale la cilindrata, poi, più crescono gli svarioni tecnici.
Per tutti i motoveicoli fino a 11 kilowatt, scooter inclusi, diventa obbligatorio – come già detto – indossare il casco integrale; per quelli di potenza compresa tra 11 e 25 kw (moto e scooter da 125 a 300cc), al casco integrale si aggiunge l’obbligatorietà di indossare guanti da moto e giacca tecnica con protezioni per spalle e gomiti.
Per le due ruote con potenze comprese tra 25 e 52 kilowatt, invece (di cilindrata fino a 600), servirà abbinare alla giacca da moto anche un para schiena integrato alla giacca. Chi vorrà andarsene in sella a moto superiori a 600cc, dovrà mettersi anche i pantaloni, oltre a tutto il resto, con protezioni a fianchi e ginocchia. Nessun riferimento, invece, alle calzature.
Naturalmente, i capi dovranno essere tutti omologati, e perfino chi tratterà la vendita di materiale non dotato delle necessarie caratteristiche sarà sanzionato.
L’interiezione che ci sovviene è semplice, pur nella sua complessa origine: bah!
Non è nostra intenzione offendere chi, non abbiamo dubbi sulla sua buona fede, abbia intessuto un disposto normativo così complesso, ma in uno stato nel quale non si riesce ancora a far rispettare in maniera omogenea sul territorio un obbligo così semplice e importante come il casco, come si può spingersi in un ambito così difficile?
Ancora: abbiamo una rete viaria al collasso, nella quale – è vero – gran parte della letalità è certamente a carico dei motociclisti, ma perché non ci si sofferma prima su obblighi assai più semplici da realizzare (e doverosi), come la messa in sicurezza delle strade?
In questi anni si è sempre fatto un gran parlare di guardrail: rivendichiamo come Asaps un ruolo importantissimo in questo settore, visto che la nostra prima inchiesta sull’argomento è stata trattata sulla rivista Il Centauro nel novembre 2002 e rappresenta una delle prime in assoluto.
Eppure, nonostante la tecnologia sia già riuscita a mettere a punto tipologie di barriere in grado di limitare fortemente le lesioni da impatto per i centauri, sono rarissimi gli esempi di arterie messe in sicurezza. Di più: quasi nessun ente proprietario di strade (ANAS compresa) è oggi obbligato a togliere le vecchie e letali barriere. Non è tutto: restano, sulle vie di fuga, segnali inutili, manufatti di ogni tipo, pietre miliari e alberi.
Si poteva, ma non si è fatto ancora nulla.
Inizialmente, lo confessiamo, abbiamo intrinsecamente condiviso il grido di allarme di chi aveva accennato all’ennesimo favore fatto alle case produttrici di accessori, ma oggi siamo più orientati a considerare la sortita primaverile delle nostre Camere alla stregua di un vero e proprio svarione.
Così tanto estemporaneo da non poter rientrare, nemmeno per sbaglio, nella logica di un favore fatto alla lobby delle grandi marche di abbigliamento, perché sarebbe così pesante il fardello per il motociclista che anche l’attaccamento dei più affezionati biker alla propria amatissima due ruote sarebbe messo a dura prova.
Il che, se da una parte ci lascia sbigottiti per la superficialità con cui certi argomenti vengono trattati, non ci esime dal fare le debite considerazioni tecniche.
Scorrendo con ordine il testo del modificato articolo 171, la prima cosa che balza all’occhio è l’assenza di modifiche per i ciclomotoristi. Eppure, se prendiamo per buono il rapporto Istat del 2008 (l’ultimo disponibile) le vittime tra i conducenti e trasportati dei cinquantini sono state 294 morti e 28.216 feriti: parliamo, rispettivamente, del 7,2 e del 9,7% del dato complessivo.
Non siamo fisici, ma non ci risulta che le lesioni traumatiche da impatto, da compressione o da decelerazione siano legate alla potenza o alla cilindrata dei veicoli. Semmai, questo sì, dalla velocità che gli stessi hanno al momento dell’incidente: una persona adulta, del peso di 70 kg, arriva a pesare oltre 7 tonnellate alla velocità di 50 km/h: un limite di velocità in vigore in tutte le aree urbane del mondo.
Sulle strade urbane italiane, sempre nel 2008, si sono verificati 168.088 incidenti, il 76,8% del totale, con 2.076 morti (43,9%) e 228.325 feriti (73,5%).
Peraltro, i conducenti di ciclomotori e dei motocicli di cilindrata più piccola, come ad esempio la 125 (per questi ultimi la novità riguarda solo il casco integrale), rappresentano generalmente una fascia di utenza che si approccia alla strada e, dunque, se la ratio del disegno di legge A.S. n. 1.720 fosse effettivamente quella di generare sicurezza, si tratterebbe senz’altro di un clamoroso passo falso.
Non solo per quanto appena accennato, ma anche perché finirebbe col distruggere una mobilità alternativa a quella assai più inquinante e ingombrante delle quattro ruote.
Infatti, visto che gran parte degli scooter immatricolati appartiene a cilindrate maggiori alla 125, è impensabile ritenere che un qualsiasi scooterista che debba recarsi al lavoro, lo faccia bardato come Valentino Rossi.
È solo un signor Rossi qualunque, che, a differenza dall’amatissimo campione, deve andare a lavorare e che, probabilmente, già indossa camicia e cravatta sotto un buon giubbotto protettivo e fa già uso di un casco, magari modulare, di alta qualità.
Dunque, un elmetto di questo genere diverrebbe improvvisamente illegale?
Sarebbe, oltre che un danno incredibile per tutti, un caso unico al mondo.
In Francia, in Spagna, in Portogallo o in Gran Bretagna, nessuno ha pensato a misure di questo tipo. È vero che quella su due ruote è una sinistrosità che evidenzia ovunque bilanci da far accapponare la pelle e che tarda a mostrare segnali di una vera regressione, ma anche qui ci parrebbe più opportuno partire da uno studio avanzato della incidentalità, distinguendo più gli ambiti che le cilindrate.
Sposiamo qui la tesi dell’AMI (Associazione Motociclisti Incolumi) che sostiene ormai da anni che è necessario distinguere tra causa di incidente e causa di lesione o morte.
Infatti, è ben difficile trovare sui passi montani – luoghi di grande pericolo – motociclisti impegnati in uscite con infradito e t-shirt. Le sommità del Falzarego o del Bracco, della Raticosa o di Bocca Trabaria sono, al contrario, una sorta di passerella di moda per tute, stivali, guanti e protezioni, segno che in questo campo il motociclista “incarognito” ha poco da imparare. Luoghi costellati però di “ghigliottine”, manufatti ed asfalti che definire letali è un eufemismo.
Semmai, in questo campo, ci sarebbe da lavorare sul rispetto delle regole, dunque sull’educazione civica, e su una sana politica di repressione fatta da uomini e donne in divisa in carne ed ossa, senza eccessive deleghe all’elettronica remota.
A proposito: lo sapranno i legislatori che regole del genere andrebbero estese a tutte le forze di polizia?
Insomma: non c’è nessuno, tra i motociclisti in uniforme, che abbia in dotazione casco integrale, paraschiena integrale e guanti da motociclista.
Ci sarà una copertura finanziaria che garantisca una dotazione del genere a tutti gli effettivi? Ci sono giacche con paraschiena integrato, ma – ad esempio – i guanti sono tutti acquistati personalmente.
L’unica eccezione sembra essere rappresentata dagli stivali da moto che, inspiegabilmente, il DDL A.S. 1.720 non prevede per nessuna categoria di motoveicoli.
In caso di impatto frontale, infatti, il guidatore di una due ruote viene proiettato in avanti ed eiettato, con rischio di lesioni in tutto il corpo, arti inferiori compresi. Oppure, pensiamo al caso del “coricamento”: la moto, a causa di una brusca frenata o di una perdita di aderenza, generalmente in curva, si corica su un lato in maniera solidale al conducente, continuando il suo moto verso la tangente fino a quando, per impatto o strisciamento, non avviene la separazione.
La gravità delle lesioni dovute all’impatto dipende sempre dal punto d’impatto (se è contro un guardrail o un palo la cosa si complica), dall’energia cinetica dal tempo in cui questa si azzera.
Quello che vogliamo dire è che conducente e passeggero di un motoveicolo corrono identici rischi – tra ciclomotori e motocicli – in contesti come quello urbano, dove anche le dinamiche sono spesso simili e dove la cilindrata non ha praticamente alcuna importanza. Dunque, prevedere una differenziazione delle dotazioni non ha alcuna logica apparente e pare più frutto di un’improvvisata e maldestra vocazione samaritana, che non tiene in alcuna considerazione gli aspetti tecnici veri, né le complicazioni che l’entrata in vigore di una norma così grossolanamente costituita porterebbe con sé.
Il moto turista che, ad esempio, percorre una strada della costa in pieno agosto, può ancora considerare gradevole una vacanza di questo genere? Il biker che passeggia godendo del paesaggio e del clima, avendo magari riposto il giubbone nel bauletto, che ha magari indossato guanti a mezze dita ed un casco aperto, non pone generalmente a rischio la propria incolumità, perché mantiene velocità ridotte ed evita, conscio dei rischi, di piegare eccessivamente. Pensiamo ad uno straniero che viene in Italia: dovrebbe cambiare casco e giubbotto per poi poter circolare in sandali?
No, fateci il piacere.
da www.asaps.it

la tua proposta sulla sicurezza stradale

Sono 26 le petizioni popolari abbinate al ddl sulla sicurezza stradale all'esame della commissione Lavori pubblici del Senato. Chiedono una mano pesante contro chi causa incidenti stradali a causa di alcol e droghe, chi guida senza cintura di sicurezza o sale in moto senza casco. C'è pure chi vorrebbe, però, in cambio un alleggerimento delle sanzioni per infrazioni meno gravi. Sfogliando le petizioni inviate a Palazzo Madama c'è anche chi vorrebbe limitare la circolazione dei ciclomotori in determinate fasce orarie.

Francesco Di Pasquale, da Cancello in Arnone (Ce), uno dei principali esponenti del popolo delle petizioni per la quantità inviata, chiede che per la sicurezza stradale si punti a una moderna segnaletica e a una adeguata illuminazione. Salvatore Acanfora da Bari, altro record man delle petizioni, chiede che gli autoveicoli siano dotati di estintore, maschera a gas e strumenti di pronto soccorso. Gabriella Cucchiara da Roma vorrebbe, invece, nuove norme in materia di conseguimento della patente di guida.

Ma c'è anche chi chiede ai parlamentari l'abolizione della patente a punti e la revisione dei limiti di velocità in autostrada, la sostituzione, dove possibile, dei semafori con rotatorie e svincoli per rendere più scorrevoli le strade. Non manca chi suggerisce l'adozione di particolari misure di sicurezza per le gite in pullman di bambini e anziani o chi chiede norme in favore dei cittadini disabili sul fronte dei parcheggi. E, ancora, manutenzione puntuale del manto stradale, revisione delle procedure per i ricorsi per le infrazioni al Codice della strada, inasprimento delle sanzioni per chi trucca gli autoveicoli aumentandone potenza e velocità. Sul fronte del mondo dell'autotrasporto si chiede di effettuare controlli rigorosi sull'orario di lavoro. Non manca chi propone l'adozione di un Piano nazionale per l'emergenza traffico.
da www.ilsole24ore..it