mercoledì 26 settembre 2007

"Cultura della Mobilità" di Nicoletta COTTONE

Meglio ascoltare, che proibire. Per raggiungere l'obiettivo di dimezzare le vittime della strada entro il 2010 sono necessarie azioni di comunicazione per creare un cultura della mobilità sicura, non per suscitare paura, ma per diffondere messaggi positivi. Spot, campagne pubblicitarie e articoli sulla sicurezza stradale devono catalizzare l'attenzione degli utenti della strada soprattutto sul piano logico ed emotivo, stimolando l'adozione di comportamenti sicuri e in linea con le regole del Codice della strada. Sì, dunque, a un approccio persuasivo e non terroristico. Queste le indicazioni che emergono dalla ricerca condotta dall'Aci e dalla Facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università «La Sapienza» di Roma, presentata nella capitale nel corso del convegno «Le grida del sabato sera - Comunicare rischio o sicurezza?». Per Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università «La Sapienza» e responsabile scientifico dell'indagine, è necessario abbandonare «una visione paternalistica che dai media e dalle istituzioni tende a proiettarsi anche su quei giovani che in realtà sono causa di incidenti stradali e non vittime».Ogni anno gli incidenti stradali costano la vita a 5.400 persone e causano oltre 300mila feriti, con altissimi costi sociali quantificabili in 34.733 milioni di euro. Il maggior numero di incidenti avviene sulle strade urbane. Fra le cause, nell'ordine, il mancato rispetto della segnaletica, la guida distratta, la velocità e il mancato rispetto della distanza di sicurezza. Luglio è il mese nel quale si muore di più (19 decessi al giorno), domenica il giorno nero (19% dei decessi). L'orario più a rischio incidenti è dalle 14 alle 17, ma la notte, fra mezzanotte e le sei del mattino si registra il maggior numero di decessi.Un'emergenza sociale, dunque, da affrontare sul piano sociologico e culturale. L'indagine evidenzia come sia inutile, ai fini della prevenzione, bersagliare i guidatori con divieti, multe e imposizioni. «La via della sicurezza stradale - sottolinea lo studio - passa attraverso il confronto e il dialogo con tutti gli utenti della strada». Un concetto valido soprattutto per i giovani, per i quali gli incidenti stradali rappresentano la prima causa di morte nel mondo occidentale. «Vietare, proibire o reprimere - spiega la ricerca - non trovano più coniugazione nelle mode e nei linguaggi degli under 30, travolti dalla frenesia comunicativa del vivere quotidiano e da uno stile di vita improntato alla sregolata libertà di interpretare le regole piuttosto che osservarle». Lo studio mette in luce come l'assunzione del rischio sia una dinamica tipicamente giovanile, che si basa sulla errata convinzione di poter controllare ogni circostanza imprevista. Due fattori, secondo l'Aci, possono accrescere la consapevolezza di chi guida: provocare o essere coinvolti in un sinistro, con evidenti ripercussioni sul piano emotivo e fisico o la frequenza a un corso di guida sicura, che permetta un confronto diretto con le proprie capacità e le nuove potenzialità dei più avanzati sistemi di sicurezza dei veicoli, dall'Abs all'Esp, all'Esc. Fra i rilievi messi in luce dallo studio il fatto che i neopatentati abbiano una conoscenza del Codice della strada inferiore rispetto ai ragazzi fra i 13 e i 18 anni. Secondo l'Aci, dunque, i corsi teorici di sicurezza stradale devono rientrare nei programmi formativi delle università, oltre che delle scuole secondarie. «Quelle che ci sono in materia sono buone leggi- spiega Pasquale De Vita, vicepresidente vicario dell'Aci - ma é necessario applicarle e soprattutto realizzare una comunicazione efficace che arrivi agli utenti finali: i giovani». Efficace, dunque, per la prevenzione degli incidenti stradali, la presenza visibile delle Forze dell'ordine sulle strade per prevenire i comportamenti scorretti, molto più di un autovelox nascosto fra i cespugli o di un vigile in agguato. Dalle statistiche sugli incidenti stradali emerge come il numero dei sinistri sia sostanzialmente stabile durante la settimana, per presentare poi un picco di mortalità nelle notti di venerdì e sabato. Dunque incidenti non imputabili al traffico o a condizioni atmosferiche avverse, ma a comportamenti incompatibili con valori e aspettative delle società moderne. Difficile nell'attuale situazione centrare l'obiettivo imposto dall'Unione europea di dimezzare le vittime della strada entro il 2010. Per centrarlo l'Italia non dovrebbe superare i 3.100 morti l'anno, con una riduzione ogni anno del 9 per cento. Un traguardo, purtroppo, ancora molto lontano. E particolarmente drammatica è la situazione per i veicoli a due ruote a motore, secondo quanto fa notare un'indagine dell'Asaps (Associazione amici della polizia stradale). Infatti, se in Italia moto e ciclomotori rappresentano il 20% dei mezzi immatricolati e il 3,5% in termini di mobilità (viaggiatori per chilometro),le vittime toccano il 26%, con punte del 50/60% nei fine settimana. Un dato che pone l'Italia al primo posto in Europa (media europea del 21%) e che entro il 2010 rischia di toccare quota 40%. L'Italia nel 1994 era al terzo posto come numero di vittime in Europa (19% del totale), ma dal 2003 è al primo posto con 1.441 vittime (24%), che diventano 1.474 nel 2004 (26%) e 1.404 nel 2005 (26%).

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