giovedì 20 settembre 2007

ALCUNI BREVI CENNI STORICI........

1.1 Cenni Storici


La circolazione stradale è quel continuo movimento, alternato a soste e fermate, di veicoli, animali e pedoni che si realizza su un piano viabile chiamato strada. Il luogo ove essa si svolge, è definito dal vigente Codice della Strada (articolo 2)[1] come «l’area di uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali». Quale importanza abbia assunto oggi la circolazione stradale è un dato noto a tutti. Essa costituisce un settore insostituibile della vita sociale; ogni rapporto economico e sociale presuppone infatti la possibilità di spostarsi rapidamente da un luogo all’altro. Mai nella storia l’uomo ha avuto, come in questi anni, la possibilità di spostarsi rapidamente e raggiungere qualunque posto della terra. Questa possibilità gli viene offerta dall’enorme sviluppo dei mezzi che la tecnica ha messo a sua disposizione. Noi ci occupiamo, in questo elaborato, della circolazione stradale ed in particolar modo dell’infortunistica stradale e dei reati ad essa connessi. Certo, oggi la possibilità di raggiungere rapidamente posti lontanissimi non è data solo dai veicoli stradali, ma anche da altri mezzi, quali aeromobili, veicoli su rotaie (treni), ecc. Il veicolo stradale però è complementare anche a questi mezzi, perché è l’unico in grado di raggiungere qualsiasi posto senza esser vincolato da terminali obbligati (porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, ecc.). Anche quando si sceglie uno di questi altri mezzi, l’itinerario è sempre completato dal veicolo stradale. Il veicolo stradale, ed in particolar modo il veicolo a motore, è una conquista recente. Lo sviluppo della motorizzazione è uno dei fattori caratterizzanti l’epoca moderna. Le sue possibilità hanno rivoluzionato l’uomo, da un lato fornendogli mezzi che hanno notevolmente aumentato le sue possibilità e, dall’altro, portandogli problemi prima sconosciuti quali la necessità di approvvigionamento di fonti energetiche, l’inquinamento atmosferico delle grandi metropoli egli infortuni causati dalla circolazione stradale.
L’uso del veicolo è ormai così generalizzato nelle società industriali che non è possibile immaginarne l’eliminazione. Più che un simbolo di progresso, è un fatto di civiltà e, pertanto, ogni discorso reale va finalizzato alla ricerca dei mezzi idonei ad eliminarne i lati negativi o cercare di ridurli al minimo, non potendosi considerare come possibile, per ora, la sostituzione con altro mezzo che assicuri gli stessi livelli di mobilità. I problemi che il veicolo a motore comporta sono enormi. Noi ci occuperemo diffusamente dei sinistri stradali (in particolar modo delle conseguenze penali ad essi collegate) i quali rappresentano un prezzo altissimo che la società paga giornalmente in termini di vite umane e di danni rilevantissimi alle persone ed alle cose.
La prima legge scritta in materia di circolazione fù la Lex Julia Municipalis[2], emanata da Giulio Cesare nel 45 a.c..
Essa vietava l’accesso nelle ore diurne, all’interno della città per i carri, eccetto quelli destinati a determinati trasporti, quali materiali per la costruzione di edifici dedicati al culto o comunque edifici pubblici. Gli imperatori succeduti a Cesare estesero l’applicazione di questa legge anche ad altre città fino a consentire l’accesso alle mura urbane solo a piedi.
Con la caduta dell’Impero Romano, che aveva fatto della strada un mezzo di conquista e di diffusione della propria civiltà, anche i traffici scemarono e i viaggi divennero avventurosi per lo stato di abbandono delle strade e per la presenza di predoni e avventurieri di ogni sorta, che assalivano gli audaci viaggiatori.
Anche le regole stradali scemarono e, solo in tempi relativamente recenti, quando si sono man mano intensificati i trasporti, la circolazione è cresciuta di intensità, per cui si è sentita la necessità di disciplinarla compiutamente.
In Italia, la prima disciplina della materia è stata la legge 20 marzo 1865, numero 2248, allegato “F”[3]. Questa legge, disciplinante le opere pubbliche, prevedeva, all’articolo 77, anche la emanazione di un regolamento per garantire la libertà di circolazione e la sicurezza del traffico.
Una decreto del 1868 (R.D. 15/11/1868, numero 4697[4]) in attuazione del citato articolo 77[5], costituì il primo regolamento di polizia stradale, dettando norme in materia di circolazione di veicoli a trazione animale (norme limitative della velocità) e comportamenti da tenere nel caso di attraversamento di pedoni.
Appariva allora un nuovo tipo di veicolo, il velocipede e portava nuovi problemi. Per disciplinare la circolazione veniva emanata un’apposita legge (Legge 22 luglio 1897, numero 318 sui velocipedi).
La rivoluzione più grande per la circolazione stradale è legata però all’apparizione del veicolo a motore. Il suo continuo sviluppo, già agli inizi del secolo scorso, richiese continui adeguamenti normativi.
Furono man mano emanati il R.D. 28/08/1901, numero 416[6], il R.D. 08/01/1905 numero 24, Regolamento di polizia stradale[7], la Legge 30/12/1912, numero 739[8], il R.D. 21/12/1923, numero 3043[9], per arrivare infine al R.D. 08/12/1933, numero 1740[10], in parte rimasto in vigore anche con il Codice della Strada – adottato con D.P.R. 15/06/1959, numero 393[11].
Il Codice del 1959 vedeva la luce nel momento in cui iniziava l’espansione della motorizzazione, ma con il passare degli anni mostrava chiaramente la necessità di continui adattamenti, dovuti al veloce progresso tecnico ed agli ancor più veloci mutamenti delle abitudini sociali.
Alla luce della realtà circolatoria che evidenziava problematiche nuove ed allarmanti, come quelle legate alla sicurezza stradale ed alla salvaguardia dell’ambiente, veniva emanata la Legge 13/06/1991, numero 190[12], che delegava il Governo a provvedere al riordino generale della normativa, da trasferire in un nuovo Testo Unico da denominarsi Codice della Strada, secondo i principi in essa elencati.
Il nuovo Codice della Strada[13], veniva elaborato secondo i principi che privilegiano quegli obiettivi di sicurezza stradale e di tutela dell’ambiente, da tutti ritenuti primari. Il Codice[14] si compone di 240 articoli divisi in sette titoli, dedicati a: Disposizioni generali (articoli 1 – 12); Costruzione e tutela delle strade (articoli 13 – 45); Veicoli in generale (articoli 46 – 114); Guida dei veicoli e conduzione degli animali (articoli 115 – 139); Norme di comportamento (articoli 140 – 193); Illeciti e relative sanzioni (articoli 194 – 224); Disposizioni finali e transitorie (articoli 225 – 240).
[1] D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, Nuovo codice della strada, in G.U. 18 maggio 1992, n. 114, S.O. Precisamente l’ articolo 2 del Codice della Strada: «Definizione e classificazione delle strade. – 1. Ai fini dell’applicazione delle norme del presente codice si definisce “strada” l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. Le strade sono classificate riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi: Autostrade; Strade extraurbane principali; Strade extraurbane secondarie; Strade urbane di scorrimento; Strade urbane di quartiere; Strade locali Le strade di cui al comma 2 devono avere le seguenti caratteristiche minime:………»
[2] Sappiamo che Giulio Cesare, un anno prima della sua morte, promulgò la Lex Julia Municipalis. Questa legge comprendeva un insieme di regole riguardanti l'accesso e la conduzione dei carri all’interno della città. Ai mezzi pesanti, per esempio, era vietato il transito dall’alba sino al pomeriggio inoltrato. Tale divieto, però, non toccava i veicoli della nettezza urbana, quelli utilizzati per i materiali da costruzione di edifici pubblici o di culto e i carri che trasportavano sacerdoti e sacerdotesse durante le cerimonie. Sicuramente altri simili regolamenti sono stati dettati anche nei secoli successivi, in varie parti del mondo, per quanto non sia sempre facile documentarli.
[3] Legge 20 marzo 1865 numero 22 48, «Legge sui lavori pubblici», Allegato F., in G.U. 27 aprile 1865.
[4] Regio Decreto a firma di Vittorio Emanuele II, con cui viene adottato il «Regolamento di Polizia Stradale e per garantire la libertà della circolazione e la materiale sicurezza di passaggio». Alla fine di tale regolamento sono contenute disposizioni per le penalità a carico dei trasgressori e per l’accertamento delle contravvenzioni e la definizione mediante oblazione.
[5] L’articolo 77 della L. 20 marzo 1865 n. 2248 stabiliva: « Per via di regolamento approvato con decreto reale saranno stabilite le norme necessarie per garantire la libertà di circolazione e la materiale sicurezza del passaggio».
[6] Regio Decreto firmato da Vittorio Emanuele III, noto come «Regolamento per la circolazione delle automobili sulle strade ordinarie».
[7] Noto come «Regolamento di Polizia Stradale e per garantire la libertà della circolazione e la sicurezza del transito sulle strade pubbliche». Viene introdotto l’obbligo delle targhe, ed i limiti massimi di velocità subiscono una modificazione: ridotti a 12 Km/h negli abitati, ed aumentati a 40 Km/h fuori dagli abitati.
[8] Recante norme sulla circolazione delle automobili in generale.
[9] Regio Decreto 31 dicembre 1923 numero 3043, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 gennaio 1924. Prima organica trattazione della materia della circolazione stradale, in cui un intero titolo è dedicato alla sola circolazione degli autoveicoli, ormai prevalente rispetto a quello degli altri veicoli allora circolanti.
[10] Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione.
[11] Decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 23 giugno, n. 147). – «Testo unico delle norme sulla circolazione stradale». Decreto abrogato dall'art. 231, d.lg. 30 aprile 1992, n. 285.
[12] Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale.
[13] Adottato con Decreto L.vo 30 aprile1992, numero 285.
[14] D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, «Nuovo codice della strada», in G.U. 18 maggio 1992, n. 114.

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