«Ordinanza numero 178 del 19 – 23 maggio 2003. La Corte Costituzionale composta dai signori: Presidente: Riccardo CHIEPPA; Giudici: Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 590 del codice penale e dell'art. 345, comma 1, del codice di procedura penale promosso con ordinanza del 6 giugno 2002 dal Giudice di pace di Locri nel procedimento penale a carico di S.G. ed altra, iscritta al n. 376 del registro ordinanze del 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2002.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Giudice di pace di Locri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 590, quinto comma, del codice penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede la punibilità a querela del delitto di lesioni colpose, riguardo ai fatti commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale;
b) dell'art. 590 del codice penale, in riferimento agli artt. 582, primo comma, 583 e 585 dello stesso codice, per contrasto con l'art. 112 della Costituzione, nella parte in cui «non prescrive», relativamente ai reati di lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, «l'obbligatorietà dell'azione penale, anche in assenza di querela, ed in conseguenza di particolare gravità dei danni derivati alla persona»;
c) dell'art. 345, comma 1, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 340 del medesimo codice e all'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), per contrasto con l'art. 112 della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice di procedere d'ufficio anche nei casi in cui il reato risulti improcedibile per difetto di querela;
che il giudice a quo premette, in fatto, di doversi pronunciare sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in relazione ad un incidente stradale, dal quale erano derivate lesioni personali: fatto che il rimettente reputa «di evidente gravità», a fronte della presenza di due feriti e dell'entità dei traumi riportati da uno di essi;
che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo assume che il regime di perseguibilità a querela — previsto dall'ultimo comma dell'art. 590 cod. pen. per i delitti di lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale — si porrebbe in ingiustificato contrasto con il regime di procedibilità d'ufficio, sancito dalla medesima disposizione per i delitti di lesioni colpose commessi con inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, o che abbiano determinato una malattia professionale;
che le due ipotesi risulterebbero, infatti, pienamente omogenee sul piano dell'oggettività giuridica, essendo poste entrambe a protezione — al pari del delitto, strutturalmente “equivalente”, di lesioni volontarie, di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen. — dell'incolumità della persona umana: bene sul quale il regime di procedibilità a querela censurato verrebbe dunque ad incidere «in modo negativo»;
che detto regime risulterebbe altresì incompatibile con il principio di cui all'art. 112 Cost. — che, a tutela dell'interesse punitivo dello Stato, fa obbligo al pubblico ministero di esercitare l'azione penale — consentendo al responsabile di un reato, anche se di evidente gravità, di evitare la «giusta punizione» attraverso una «accorta manipolazione della libera determinazione della parte offesa», al fine di indurla a non presentare la querela ovvero a rimetterla una volta presentata;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza o, in subordine, infondata.
Considerato che l'eccezione dell'Avvocatura dello Stato di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza non può essere accolta, in quanto dal tenore complessivo dell'ordinanza di rimessione si desume in modo inequivoco che il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi su una richiesta di archiviazione per difetto di querela, relativa ad un reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale: donde l'incidenza dei quesiti di costituzionalità sollevati sulla decisione che il rimettente deve adottare;
che, quanto al merito dei quesiti, la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente costante nell'affermare che la scelta del regime di procedibilità coinvolge la politica legislativa e deve, quindi, rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di legittimità solo per vizio di manifesta irrazionalità (cfr., ex plurimis, sentenza n. 274 del 1997; ordinanze n. 91 del 2001 e n. 354 del 1999; nonché, con specifico riferimento alla perseguibilità a querela delle lesioni colpose gravi, ordinanza n. 204 del 1988);
che, in questa prospettiva, la scelta censurata — di prevedere la perseguibilità d'ufficio del delitto di lesioni colpose solo quando si tratti di fatti commessi con violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale (limitatamente, peraltro, ai casi di lesioni gravi e gravissime), e non anche in rapporto ai fatti commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale — si risolve in un'opzione di politica legislativa che sfugge ad ogni contestazione di legittimità costituzionale: e ciò tanto più a fronte della circostanza che, nel primo caso, viene in rilievo un interesse, quale quello alla tutela del lavoro, che è oggetto di particolare considerazione da parte della stessa Costituzione;
che per quanto attiene, poi, al supposto contrasto delle norme denunciate con l'art. 112 Cost., questa Corte ha, del pari, ripetutamente chiarito che la citata norma costituzionale — stabilendo che il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale — non esclude che l'ordinamento possa prescrivere determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione di essa (cfr., tra le altre, sentenze n. 114 del 1982; n. 104 del 1974; n. 105 del 1967);
che tale principio, enunciato in rapporto a condizioni di procedibilità rimesse a valutazioni o iniziative di pubblici poteri, non può non valere, ed a fortiori, per le condizioni di procedibilità legate, come la querela, a manifestazioni di volontà della persona offesa: questi ultimi istituti, infatti — subordinando l'insorgenza dell'obbligo di esercitare l'azione penale ad un preventivo apprezzamento del titolare dall'interesse leso dal reato, circa l'esigenza che esso fruisca, nel caso concreto, della tutela offerta in sede penale — non trasformano detto esercizio in facoltativo, né escludono la posizione di assoggettamento del pubblico ministero al principio di legalità processuale;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
La Corte Costituzionale dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 590 del codice penale, e dell'art. 345, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dal Giudice di pace di Locri con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2003.»
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