MILANO - Quindici giorni fa su un ciclomotore ha sorpassato a destra un autobus e ucciso una ragazza sulle strisce pedonali. Ieri i magistrati l'hanno fatto arrestare dai carabinieri per «omicidio colposo» (da 2 a 6 anni) aggravato dalla previsione dell'evento: dunque non perché se la sentano di contestargli l'omicidio volontario, ma perché sostengono che, alla luce di 5 precedenti incidenti stradali provocati in 7 anni alla guida anche di mezzi altrui, e di due multe per passaggio col rosso e uso del telefono cellulare, non basti il sequestro del motorino o la sospensione della patente, ma soltanto la custodia cautelare (agli arresti domiciliari) possa impedirgli di reiterare «altre condotte colpose che violano norme di prudenza» nella circolazione stradale. Una scelta delicata. Nella valutazione del gip. E più ancora forse nell'approccio della Procura, almeno a giudicare dall'inedito passaggio che, nella richiesta di arresto, rimarca che «questo ufficio ha inteso imprimere alle investigazioni una forte accelerazione e il dovuto rigore».
«Non ho la forza di parlare... sono morto con mia figlia... aveva 23 anni e studiava al quarto anno di Giurisprudenza, voleva fare il magistrato.... », sussurra dalla Calabria il papà di Michela Corica, parte civile con l'avvocato Giuseppe Fiorella. La dinamica dell'incidente non è dubbia nella sua gravità. Alle 11.15 del 23 febbraio la studentessa attraversa sulle strisce pedonali in pieno centro, tra corso XXII Marzo e Piazza 5 Giornate. L'autobus si ferma per farla passare. Ma Matteo Grassitelli, 40 anni, alla guida di un ciclomotore appartenente a un'amica, sorpassa a destra il bus e travolge la ragazza, lasciando «sull'asfalto una strisciata di 9 metri», per il gip «significativa dell'elevata velocità». Non scappa. Ma dal pronto soccorso «si allontana autonomamente prima che i sanitari di turno possano prendersi cura di lui e prima pertanto che possano essere effettuati gli opportuni accertamenti volti a rilevare l'eventuale assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti». Circostanza che per il pm «attesta l'evidente volontà di sottrarsi alle conseguenze del suo gravissimo atto», mentre per il difensore Barbara Mancini dipende solo dal fatto «che nessuno gli ha detto che doveva fermarsi: tanto che, appena uscito, per prima cosa è andato nell'altro ospedale a chiedere notizie della ragazza». Ma non è questo l'elemento principale che fa scattare l'arresto. È invece il "curriculum" stradale dell'uomo.
Il giudice Simone Luerti, pur notando che «i rilievi sono stati eseguiti dalla polizia locale non senza una certa censurabile approssimazione», valorizza la nota dei vigili urbani che segnala che «dal 2001 al 2008» l'investitore «si è reso responsabile quantomeno di 5 incidenti stradali contrassegnati da una sua condotta in violazione di norme del codice della strada» (ma l'avvocato obietta che sarebbero microtamponamenti con danni alle carrozzerie, e di un'auto con gomma bucata); e che ha riportato «almeno altre due recenti infrazioni che non hanno comportato incidenti ma costituiscono comunque comportamenti pericolosi, come parlare al cellulare e non arrestarsi al semaforo rosso».
È lo stesso gip a premettere quanto sia «arduo e delicato » valutare «esigenze di tutela sociale» nel caso di reati colposi «e quindi presumibilmente occasionali». Ma ciò, a suo avviso, «non esclude che determinate circostanze possano rivelare un'attitudine costante del reo a tenere comportamenti che violano norme di prudenza generiche o specifiche». E in questi casi, «una volta accertata la sistematica noncuranza delle regole che disciplinano la convivenza civile, nulla vieta di considerare concreto e attuale il pericolo di reiterazione di condotte colpose».
Luigi Ferrarella
07 marzo 2009 dal Corriere della Sera
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