giovedì 6 novembre 2008

Incidenti stradali, un approccio psicologico

Sono in diminuzione ma restano ancora la maggior causa di morte per bambini e giovani tra i 5 e i 29 anni. Gli incidenti stradali nel 2006 secondo i dati Istat-Aci in Italia hanno causato circa 5700 morti e 330mila feriti. E 8 su 10 sono causati dal fattore umano. Probabilmente la situazione è migliorata con l’introduzione della patente a punti ma siamo lontani dal traguardo della diminuzione del 50% del numero degli incidenti e delle vittime entro il 2010 fissato come obiettivo dall’Unione Europea. In Università Cattolica si è costituita ufficialmente alla fine del 2007 l’Unità di ricerca sulla psicologia del traffico promossa dal dipartimento di Psicologia con l’obiettivo di studiare il sistema traffico e di analizzare tutti gli aspetti relativi alle dinamiche, alle conseguenze degli incidenti e alle strategie da mettere in atto nelle situazioni di emergenza. «Non sono gli psicologi ad aver inventato una nuova disciplina, ma èquesto nuovo e dinamico ambiente, definito ormai a livello internazionale “sistema traffico” a interpellare con i suoi bisogni e istanze gli esperti: il “sistema traffico” assorbe il 10% della nostra vita, trascorsa su mezzi, in auto o per strada come pedoni e ha creato bisogni e assunto caratteristiche di cui la psicologia a diverso titolo si è occupata (psicologia dell’attenzione, ergonomia, psicologia della comunicazione, dello stress, del benessere, ecc)». Così Rita Ciceri, docente di Psicologia della comunicazione in Cattolica e coordinatrice dell’Unità di ricerca, introduce il tema e individua quattro aree di cui l’Unità si occupa.

Prima di tutto la prevenzione. Partiamo da quello che ogni giorno pare un bollettino di guerra. Traumatizzati, feriti con danni permanenti in maniera più disinvolta. L’aspetto critico è la creazione di un equilibrio tra il saper identificare le situazioni che producono un rischio e la valutazione reale delle proprie capacità che non vanno sopravvalutate». Gli studi condotti dall’Unità di ricerca di Psicologia del traffico indicano che negli interventi sulla prevenzione e l’educazione stradale è possibile raggiungere un maggior grado di efficacia se all’informazione relativa agli effetti di errori o disattenzioni si aggiunge un training di tipo esperienziale e pratico, ad esempio utilizzando simulatori con tecnologie sofisticate che consentono di affinare una corretta e tempestiva valutazione emotiva del pericolo, attraverso la sperimentazione virtuale delle dinamiche dell’incidente. In secondo luogo, lo psicologo del traffico può aver un ruolo importante in qualità di consulente nelle perizie di ricostruzione degli incidenti. A questo riguardo è stata proficua la collaborazione dell’unità di ricerca di psicologia con l’Associazione italiana dei periti ricostruttori di incidenti stradali per l’analisi dei fattori psicologici (attentivi, emotivi, percezione e presa di decisione) che spesso precedono l’impatto fatale.

Insigne precursore di quest’area di applicazione della psicologia padre Agostino Gemelli e la sua attenzione all’intervallo psicotecnico. L’analisi delle dinamiche dell’incidente stradale condotta mediante la collaborazione con periti ricostruttori è stata utilizzata come metodo anche nelle scuole con un obiettivo formativo. «Per sensibilizzare i ragazzi (dalle elementari alle superiori) alla comprensione sul dove e quando è presente il rischio - continua la professoressa Ciceri - sono state ricostruite le dinamiche degli incidenti con pedoni e automobilisti, smontandoli con la moviola e ricostruendo il video dell’accaduto. Questa attività risulta complementare all’educazione stradale già offerta nelle scuole spesso con la collaborazione dei vigili urbani, in cui vengono fornite soprattutto informazioni sulla strada e sui suoi segnali. I ragazzi devono provare non solo a conoscere le regole ma anche a valutare di chi sia la responsabilità». Non va infatti dimenticato che tra le esperienze con cui i ragazzi entrano in contatto con il mondo della velocità e del rischio ci sono il cinema, la tv e, ancor più i videogames: in questi contesti si vedono sempre sfrecciare automobili aggressive e scattanti guidate da personaggi immortali che non offrono una reale percezione del pericolo e anzi spesso incitano alla violazione delle norme. Un altro impiego interessante della ricostruzione psico-tecnica è presso le scuole guida, in cui l’inserimento dello psicologo del traffico è previsto dai nuovi orientamenti legislativi. Il ruolo insostituibile dello psicologo del e morti sulla strada sono all’ordine del giorno e in modo unanime la letteratura nazionale e internazionale individua nel fattore umano il 70% della responsabilità degli incidenti stradali. È quindi lecito domandarsi non solo come potenziare le risposte strutturali (mezzi e strade più sicure) ma anche come addestrare e facilitare il comportamento degli utenti.

Le pagine di cronaca presentano l’abuso di bevande alcoliche e l’alta velocità tra le cause principali degli incidenti stradali imputabili al fattore umano. La letteratura internazionale dimostra invece che la causa prima è la disattenzione. Dalle disattenzioni dovute ad uno scorretto monitoraggio dell’ambiente esterno a quelle relative agli stati interni dell’individuo come il daydreaming, dall’uso di telefonini e apparecchiature wireless alle discussioni con il passeggero, dalla sigaretta all’ascolto di musica mentre si attraversa la strada o mentre si guida. La percentuale di rilevanza del fattore disattenzione cresce ancora di più quando l’autista è inesperto (19-24 anni). È testato che i “novizi” della guida hanno una ridotta capacità di scandagliare la linea dell’orizzonte con lo sguardo e occupano gran parte delle risorse cognitive su una porzione ridotta dell’ambiente. Mediante training specifici è possibile intervenire per ridurre questi fenomeni. In particolare agendo su due processi psicologici: l’attenzione e la percezione del rischio, che intervengono tanto nella determinazione di incidenti, quanto nel possibile addestramento di pedoni e driver a evitare comportamenti a rischio.

Uno dei compiti della psicologia del traffico nell’ambito della prevenzione, è potenziare ed educare alla corretta percezione del rischio. «In molti corsi di guida sicura ci si cimenta ad affrontare situazioni impreviste su strada, come la guida su una strada bagnata, ed è stato verificato che anziché diminuire, gli incidenti aumentano, dice Alessandro Antonietti, docente di Psicologia cognitiva in Cattolica e membro dell’Unità di ricerca. Paradossalmente chi li frequenta si sente più sicuro a cominciare a guidare in maniera più disinvolta. L’aspetto critico è la creazione di un equilibrio tra il saper identificare le situazioni che producono un rischio e la valutazione reale delle proprie capacità che non vanno sopravvalutate». Gli studi condotti dall’Unità di ricerca di Psicologia del traffico indicano che negli interventi sulla prevenzione e l’educazione stradale è possibile raggiungere un maggior grado di efficacia se all’informazione relativa agli effetti di errori o disattenzioni si aggiunge un training di tipo esperienziale e pratico, ad esempio utilizzando simulatori con tecnologie sofisticate che consentono di affinare una corretta e tempestiva valutazione emotiva del pericolo, attraverso la sperimentazione virtuale delle dinamiche dell’incidente. In secondo luogo, lo psicologo del traffico può aver un ruolo importante in qualità di consulente nelle perizie di ricostruzione degli incidenti.

A questo riguardo è stata proficua la collaborazione dell’unità di ricerca di psicologia con l’Associazione italiana dei periti ricostruttori di incidenti stradali per l’analisi dei fattori psicologici (attentivi, emotivi, percezione e presa di decisione) che spesso precedono l’impatto fatale. Insigne precursore di quest’area di applicazione della psicologia padre Agostino Gemelli e la sua attenzione all’intervallo psicotecnico. L’analisi delle dinamiche dell’incidente stradale condotta mediante la collaborazione con periti ricostruttori è stata utilizzata come metodo anche nelle scuole con un obiettivo formativo. «Per sensibilizzare i ragazzi (dalle elementari alle superiori) alla comprensione sul dove e quando è presente il rischio - continua la professoressa Ciceri - sono state ricostruite le dinamiche degli incidenti con pedoni e automobilisti, smontandoli con la moviola e ricostruendo il video dell’accaduto. Questa attività risulta complementare all’educazione stradale già offerta nelle scuole spesso con la collaborazione dei vigili urbani, in cui vengono fornite soprattutto informazioni sulla strada e sui suoi segnali. I ragazzi devono provare non solo a conoscere le regole ma anche a valutare di chi sia la responsabilità». Non va infatti dimenticato che tra le esperienze con cui i ragazzi entrano in contatto con il mondo della velocità e del rischio ci sono il cinema, la tv e, ancor più i videogames: in questi contesti si vedono sempre sfrecciare automobili aggressive e scattanti guidate da personaggi immortali che non offrono una reale percezione del pericolo e anzi spesso incitano alla violazione delle norme.

Un altro impiego interessante della ricostruzione psico-tecnica è presso le scuole guida, in cui l’inserimento dello psicologo del traffico è previsto dai nuovi orientamenti legislativi. Il ruolo insostituibile dello psicologo traffico - documentato dalle efficaci esperienze di Germania, Inghilterra, Svezia - può contribuire sia alla valutazione di idoneità, sia al completamento dell'attuale metodo di addestramento. «Un altro dato con cui lo psicologo del traffico si confronta spesso - dice Antonietti - è la scarsa attendibilità dei testimoni. Capita che i tecnici si trovino ad analizzare dati oggettivi (tracce di frenate, danni all’auto) che indirizzano verso una certa ricostruzione, mentre i testimoni raccontano una versione differente. Consideriamo che in Italia dal punto di vista legale la testimonianza ha più valore della consulenza tecnica. Quello che succede è che a volte vengono fatte domande che suggeriscono già le risposte e il testimone è indotto a confermare quello che gli viene lasciato intendere. Altra fonte di distorsione del ricordo sono le informazioni che il testimone acquisisce da altri testimoni sulla scena».

Da considerare infine i meccanismi cognitivi: l’attenzione del futuro testimone vaga nello spazio della scena dell’incidente e quello che lui percepisce è frammentario perchè l’accaduto è inaspettato, mentre è più chiara la percezione del post. Così il contributo specifico dello psicologo è la formazione al personale della sicurezza che fa gli interrogatori sul luogo dell’incidente, invitandolo a lasciar parlare inizialmente il testimone senza porre domande, e poi a porle senza indurlo a una risposta predefinita. Un terzo fondamentale contributo della psicologia del traffico è da attribuire alla comunicazione. «Forse non si sa comunemente che lo stato di ebbrezza non è la causa principale degli incidenti stradali - dice Rita Ciceri -. Si tende sempre a pensare che droga e alcool siano problemi lontani da noi e che quindi guidiamo sempre in condizioni sicure. In realtà soprattutto i giovani sottovalutano il fatto che basta superare di poco i limiti di alcool consentito per abbassare la soglia di attenzione e inibire la concentrazione necessaria per una guida sicura». Di qui l’importanza di fare comunicazione su questo punto. Rispetto al metodo da utilizzare, il marketing sociale mostra come sia molto più efficace informare e formare mostrando le dinamiche di un incidente piuttosto che mostrare una situazione estrema e tragica che allontana psicologicamente chi guarda. Ultima area di intervento della psicologia del traffico è quella della comunicazione traumatica.

Il lavoro riguarda sia l’intervento terapeutico su persone che hanno subito un trauma sia sui recidivi. All’estero si lavora con la terapia singola e con quella di gruppo tanto sulla vittima quanto su chi ha provocato l’incidente. «Nei casi di incidenti gravi è molto importante che la comunicazione di un decesso avvenga di persona - sottolinea Fabio Sbattella, psicologo della Cattolica esperto di emergenze, possibilmente ad opera di un operatore non coinvolto nell’evento ma che sia informato dei fatti e sia in grado di rispondere alle domande dei familiari e di assumersi il compito di raccogliere ulteriori informazioni. L’esperienza clinica sottolinea l’importanza di uno spazio riservato, ove i familiari possono sostare e sedersi, nonché la disponibilità di un tempo adeguato per l’ascolto, anche per rispondere ad eventuali domande».

Altro aspetto cruciale è la scelta dei destinatari della comunicazione. È fondamentale accertare l’identità del defunto e chiedere conferma dell’identità e ruolo delle persone con cui si interagisce. «Le comunicazioni di bad news a minorenni dovrebbero essere gestite all’interno della rete familiare, se esistente. In ogni caso - continua Sbattella - si consiglia di utilizzare un linguaggio chiaro senza eccessivi giri di parole e personalizzato, per esempio chiamando la vittima per nome. Lasciare spazio all’espressione delle emozioni, nelle modalità ritenute accettabili dalla cultura di appartenenza della famiglia, e la vicinanza anche fisica dell’operatore al familiare laddove si ritenga che sia opportuna sono ulteriori modalità di supporto. Per tutti questi aspetti è imprescindibile la formazione continua degli operatori». Chi comunica dovrebbe, infine, curare i rapporti con i media, ponendo attenzione a che la notizia non giunga ai giornalisti prima che la famiglia sia stata informata. Il consenso richiesto ai familiari, nel riportare la notizia del decesso, è segnale di particolare tatto, oltre che atto dovuto da chi desidera farsi garante della privacy necessaria nei momenti di sofferenza.


Emanuela Gazzotti
dal sitto www2.unicatt.it

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