domenica 27 marzo 2011

Le chiamano barriere di contenimento, perché? Quando sono vecchie e mal progettate, uccidono come un plotone di esecuzione e, purtroppo, “non c’è legge che tenga”

(ASAPS) FORLÌ, 7 marzo 2011 – L’auto dei Carabinieri che esce di strada sulla Salerno-Reggio Calabria e il conducente, un appuntato, muore; un’altra auto precipita da un cavalcavia e finisce sull’autostrada A1, nei pressi di Modena. Anche in questo caso il conducente muore. Queste due morti hanno, ovviamente, qualcosa in comune: la barriera di contenimento, in questi due casi un guardrail, non ha ottemperato alla propria funzione. Contenimento è una parola che deriva dal verbo contenere e indica l’azione di frenare, limitare, ridurre. Se si parla di spesa pubblica ci si riferisce ai consumi voluttuari, ma se si parla di un corpo in movimento, in questo caso un veicolo, beh…
Da anni, ormai, sappiamo che una cosa è la causa d’incidente, altro è invece ciò che causa la lesione o la morte. Esempio: viaggio in auto, a velocità consentita, ma a un certo punto mi addormento. Il veicolo che fino a un istante prima conducevo si libera di me e dell’azione di conduzione che fino a quel momento esercitavo su di lui. La velocità diminuisce ma devia dalla sua traiettoria originaria. Finisce contro una barriera laterale e qui proponiamo due possibili esiti:
a) Vado a sbattere, indosso le cinture, ma la barriera tiene. Danneggio gravemente la macchina ma io mi risveglio indenne. Spaventato ma illeso;
b) Vado a sbattere, indosso le cinture, ma la barriera non tiene. Finisco nel vuoto e muoio.
Capirete che le varianti possono essere infinite, ma l’assunto dal quale purtroppo dobbiamo partire è spesso uno solo: le barriere di contenimento di troppe strade sono, in Italia, vergognosamente inefficaci.
Il problema è che non esiste una norma che obblighi l’ente proprietario di una strada, dall’Anas in giù, a sostituire una barriera perché ormai superata e obsoleta, oltre che manifestamente e logicamente pericolosa.
Tanto per farvi capire di cosa stiamo parlando, basta rammentare il tremendo incidente occorso a Robert Kubica lo scorso 6 febbraio: in quell’occasione il pilota polacco di Formula Uno, testa di serie con la Lotus Renault, stava correndo una prova del rally di Andora (Savona) quando, perso il controllo della Clio con cui si stava cimentando, è finito contro il guardrail.
Quando i motociclisti si riferiscono a lui definendolo una ghigliottina, non lo dicono per scherzo: la lama della barriera si è staccata dalla piantana e ha tagliato la vettura come un coltello rovente nel burro, attraversandola per intero.
I casi di auto e corpi affettati sono tanti. Ancor più quelli di motociclisti e ciclisti. Tante anche le fuoriuscite.
Eppure, nonostante queste evidenze, non esiste una legge che obblighi chi amministra le strade a sostituire le barriere di contenimento con prodotti di ultima generazione. Per questo, se vi fate una passeggiata in qualche strada di montagna, potrebbe capitarvi di vedere ancora pali di ferro arrugginiti fissati in orizzontale tra una pietra miliare e l’altra, o guardrail alti sì e no trenta centimetri da terra. Quando qualcuno ci va a sbattere, la sua assicurazione comprerà una barriera nuova, grande solo quanto la superficie danneggiata. Se vi capita di percorrere qualche strada o autostrada e vedere che il guardrail laterale o centrale, vergognosamente basso, ogni tanto si alza come se fosse la gobba di un cammello, per tornare subito dopo all’altezza “standard”, beh… è probabile che si tratti di punti d’impatto “ripristinati” ex lege.
Che è vergognoso lo abbiamo già detto?
La conseguenza di questa permanente vacatio legis è che difficilmente si riesce a fare giustizia e anche questo a causa di una pluralità di fattori. Quali?
In primis, l’ignoranza e la superficialità, anche di quelli che si trovano a rilevare il sinistro, ma anche di chi poi non fa valere certe evidenze in aula, avvocati, pubblici ministeri e giudici. C’è poi da dire che ogni evento ha particolarità uniche e suggestive. Un esempio ce lo fornisce proprio il caso di Kubica: nessuno si è scandalizzato del fatto che il pilota si sia praticamente tranciato le mani nell’incidente e che se non fosse stato per l’abilità dei medici gli sarebbero state amputate. Questo perché la gente ritiene che se il pilota andava forte è un po’ come se sia andato in cerca di guai, ma così non è! Un’auto lanciata a 50 all’ora ha un peso che molte barriere non riescono a contenere ma che, in caso di impatto diretto con un corpo umano, possono tranquillamente recidere arti e teste.
Non abbiamo dati da sfoggiare, come di solito l’Asaps riesce a fare, e sapete perché? Perché non è possibile desumere queste informazioni da come i modelli statistici Istat sono oggi concepiti. Una fuoriuscita di strada non è considerata la conseguenza di una cattiva protezione del piano viabile, ma come un comportamento del conducente o come una semplice constatazione: il veicolo è fuoriuscito, senza indagare se ciò sia avvenuto dopo l’impatto contro qualcosa o in assenza di protezione.
Però come al solito l’Asaps riesce ad estrapolare dal ricchissimo cilindro dei suoi dati un elemento interessante. Uno specifico elemento che l’associazione forlivese ha iniziato a raccogliere proprio da inizio 2011.
Sapete che dalle dinamiche degli incidenti del fine settimana rilevati dalla Polizia Stradale e dai Carabinieri abbiamo potuto verificare che nei primi 2 mesi di quest’anno su 153 incidenti mortali totali ben 71, cioè il 46,4% sono proprio dovuti a fuoriuscita dalla sede stradale o impatto contro ostacolo fisso? Cioè quasi la metà degli incidenti è ricollegabile a modalità nelle quali non sono coinvolti altri veicoli? Quanti sono gli incidenti in cui il guard rail è stato negativo protagonista? Questa ulteriore distinzione i dati che raccogliamo non ce la precisano, ma quanto sarebbe interessante vi pare?
Così, in questo bailamme, ogni morte stradale viene discussa in un tribunale in modo diverso, spesso senza che a chi indaga ed a chi giudica siano forniti idonei strumenti conoscitivi tali da poter dimostrare un effettivo nesso di causalità tra la dinamica dell’incidente effettiva e quella che sarebbe invece stata se la barriera avesse adempiuto allo scopo per cui era stata prevista.
Insomma, la vittima andava forte, oppure era in stato di ebbrezza. Ci scandalizziamo, giustamente, per chi si suicida in prigione o per chi muore durante operazioni di polizia o sul lavoro, ma morti come quelle che stiamo commentando sarebbero tutte facilmente evitabili. La tecnologia ha già sfornato le barriere ideali, quelle che non fanno male a nessuno, ma nessuno le installa.
Perché?
Costano forse troppo?
È una scusa alla quale noi non crediamo più. Ma se così fosse, un’idea ce l’abbiamo: perché non destinare, agli enti proprietari delle strade, l’equivalente di ciò che costano alla società le vittime della strada se l’ente dimostra di investire per ridurre la sinistrosità? Insomma, se in un determinato tratto di strada in cui muoiono dieci persone all’anno si azzera la mortalità, perché non destinarvi l’equivalente di quanto avremmo dovuto tutti noi sborsare per coprire le spese di una vittima?
L’alternativa la conosciamo già. (ASAPS)

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