lunedì 18 ottobre 2010

Violenza di strada, figlia di un tempo nel quale non ci sono più né segnali dello Stato né pene certe per chi viola la legge

(ASAPS) 18 ottobre 2010 – Gli eventi di cruda violenza registrati in questi ultimi giorni sono qualcosa di più di un semplice campanello d’allarme. Sarà pur vero che la cronaca televisiva ha messo a dura prova le coscienze di tutti noi, ma è altrettanto plausibile che questi episodi, confusi nel tritacarne di programmi d’intrattenimento nei quali i carnefici si sono dimostrati poi i sanguinari assassini, prendendo per i fondelli un’intera nazione, siano destinati a diventare presto un semplice ricordo archiviato alla stregua del gossip di stagione. Perché diciamo questo? È semplice: in pochi, oggi, si sono effettivamente chiesti che cosa succeda in questo paese. Si discute sul caso singolo, senza pensare a ciò che invece innesca una violenza collettiva che in particolari condizioni, sfocia nel delitto. Il pugno sferrato dal giovanissimo Alessio Burtone, nella stazione Anagnina di Roma, che ha fatto stramazzare a terra Maricica Hahaianu, è divenuto famoso per tre motivi: il primo, perché è stato ripreso in diretta dalle telecamere di sorveglianza e sparato ai canali televisivi (e internettiani) affamati di dirette di questo genere e bramosi di accaparrarsi cliccate su cliccate; il secondo, perché ha mostrato, dopo i suoi effetti, un’apparente disinteresse da parte della gente che passava di là, al punto che si parla ancora oggi di omissione di soccorso, di crudeltà verso il prossimo e via di seguito. Il terzo motivo è strettamente sociologico: aver visto in diretta cadere a terra, già priva di sensi al momento del pugno, una donna fino a quel momento sconosciuta, ha consegnato essa stessa e la sua tremenda agonia al mondo della televisione, che si è accapigliata per pubblicare la lettera di perdono scritta dall’omicida e per registrare lo stentato italiano di una famiglia rumena per una volta dalla parte giusta. Per la coscienza italiana è stato un po’ come pareggiare il conto con una nazione, la Romania, accusata di spedire in Italia il peggio dei suoi figli, salvo dimenticare le migliaia di immigrati che, invece, lavorano e onorano il salario di fine mese. Diciamo questo perché non c’è stata par condicio con la vicenda, ugualmente drammatica, che vede protagonista Luca Massari, il tassista pestato a sangue domenica scorsa (10 ottobre) in largo Caccia Dominioni, periferia di Milano, per aver ucciso un cane dopo averlo investito inavvertitamente. A ridurlo in coma sono stati, allo stato delle indagini, almeno due italiani, Piero e Stefania Citterio, fratelli di 26 e 28 anni. L’uomo, come recitato nella sua confessione resa alla Mobile di Milano, ha poi dato alle fiamme l’auto di un testimone e pestato a bastonate un reporter alcuni giorni dopo: lui e la sorella sono stati anche difesi dai loro amici quando la Polizia è andata a cercarli. Italiani che al nord usano metodi tradizionalmente usati per gli avvertimenti mafiosi del Mezzogiorno, che hanno goduto di omertosi silenzi e che sono stati identificati solo grazie al coraggio di alcuni cittadini e alla determinazione degli investigatori. Il tutto a Milano. A Pescara, una ragazza di 22 anni passeggiava tranquillamente in centro quando ha visto un uomo che urinava a un albero dei giardini pubblici. Lo ha giustamente rimproverato e questo, invece che andarsene dopo aver finito di espletare sconciamente il suo bisogno, le è saltato addosso e l’ha massacrata. Probabilmente l’avrebbe uccisa se non fossero arrivati due carabinieri che l’hanno arrestato dopo aver duramente lottato. L’uomo non era nuovo ad episodi di questo tipo: a maggio aveva rapinato un market e, quando venne preso, sfasciò a calci e testate una gazzella dei Carabinieri. Non erano nuovi ad usar violenza nemmeno l’uccisore di Maricica. Tra i fascicoli pendenti all’ufficio del Giudice di Pace di Roma c’è infatti un’imputazione per una lite in strada, tra lui e un altro giovane, derubricata in percosse dal reato inizialmente ipotizzato di lesioni. L’avvocato difensore dice che non può essere considerato “un precedente, un qualcosa che indichi il normale comportamento del mio assistito”, ma certamente il pugno che ha ucciso, o causato in qualche modo la morte di Maricica, è stato sferrato da uno che sa come si fa. E che non ha problemi a farlo, perché picchiare una donna non è come accapigliarsi con un antagonista di pari età o sesso. Si tratta di eventi che la dicono lunga su quello che è il clima. Ma perché? Anni di esperienza e di analisi su osservatori come Sbirri Pikkiati, ci hanno insegnato una cosa: sono proprio la mancanza di una sanzione certa, un evidente clima di diffusa impunità e di incertezza della sanzione, la scarsità di segnali di uno Stato che (non) c’è, ad armare killer e picchiatori di strada. Senza cadere nelle fin troppe facili forche caudine di chi invoca la pena di morte per l’assassino (o gli assassini) di Sarah Scazzi, sarebbe più che sufficiente tenere dentro, senza dover aspettare che la vittima muoia, uno che prende a pugni una donna in una stazione semideserta, invece che tenerlo a casa, poverino, e sentir dire dai parenti che ha paura del carcere. Immaginate che paura si può avere quando si cade a terra e si capisce che attorno la vita finisce, che non vedrai più marito o figlio, che si muore. Mentre colui che ti ha ammazzato ripone le sue cose e se ne va. (ASAPS)

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