venerdì 23 aprile 2010

Nuove regole per l’abbigliamento dei motociclisti Solo sicurezza o anche business? Il coraggio di dissentire Vi spieghiamo perché

La sicurezza stradale è un business? Il quesito non è di semplice risoluzione, ma noi rispondiamo “sì”.
È un settore talmente vasto, e necessario, da aver radicalmente cambiato, nella storia del motore a scoppio, intere filosofie di progettazione e di produzione, creando indotti nuovi e distruggendone altri.
L’ultima novità, dopo tanta sicurezza “preventiva”, è il disegno di legge in via di approvazione (Atto Senato 1.720) che imporrebbe – nel caso di una sua entrata in vigore – una serie di prescrizioni in materia di abbigliamento e protezioni per motociclisti che rischiava di finire sulla Gazzetta Ufficiale in silenzio, se non fosse stato per una generale levata di scudi da parte di una moltitudine di blog.
Ci vuole coraggio a dissentire, quando nelle pieghe di una proposta così articolata, ricorrono parole come “sicurezza” e “protezione”.
Tuttavia, pur riconoscendo all’iniziativa una matrice samaritana, dobbiamo alzare la mano e dire, con ragione di causa, un categorico “no”.
Certo, nulla in contrario all’obbligo di prevedere, per i ciclisti che circolino nelle ore notturne, l’obbligo di indossare un gilet retroriflettente (introduzione del comma 9bis all’articolo 182); siamo meno d’accordo, invece, sulla possibilità che i conducenti dei veicoli speciali per il trasporto e la raccolta dei rifiuti, nelle modalità previste dal comma 8/b-bis dell’articolo 172, possano beneficiare di un’inspiegabile esenzione dall’obbligo di indossare le cinture di sicurezza. Infine, siamo assolutamente contrari alla possibilità di consentire l’uso di lampeggianti e sirene (estendendo l’articolo 177) ad ambulanze per animali o per veicoli destinati alla vigilanza zoofila.
Questa è una vera e propria assurdità, come se non ci fossero già troppi dispositivi supplementari d’allarme a creare il caos sulla strada: la polizia idraulica, i servizi di trasporto organi “fai da te”, le auto dei servizi sociali di molte associazioni di volontariato, i gruppi per l’antincendio boschivo e perfino servizi di polizia eco zoofila.
Ma il DDL opererebbe sostanziali modifiche anche sul dettato dell’articolo 171 del codice della strada, quello che oggi reca un titolo che conosciamo fin troppo bene: uso del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote. Tuttavia, se tutti quelli che si trovano in sella ad un motoveicolo – sia esso un ciclomotore che un motociclo – devono obbligatoriamente indossare un copricapo difensivo, l’improvvisa (e improvvisata) modifica sarebbe imposta solo ai motociclisti, lasciando indietro – ad esempio – una categoria incredibilmente debole, come quella dei ciclomotoristi.
Per loro nessun cambiamento. Nemmeno in materia di casco, che diventerebbe obbligatoriamente integrale per i motocicli oltre 125cc: più sale la cilindrata, poi, più crescono gli svarioni tecnici.
Per tutti i motoveicoli fino a 11 kilowatt, scooter inclusi, diventa obbligatorio – come già detto – indossare il casco integrale; per quelli di potenza compresa tra 11 e 25 kw (moto e scooter da 125 a 300cc), al casco integrale si aggiunge l’obbligatorietà di indossare guanti da moto e giacca tecnica con protezioni per spalle e gomiti.
Per le due ruote con potenze comprese tra 25 e 52 kilowatt, invece (di cilindrata fino a 600), servirà abbinare alla giacca da moto anche un para schiena integrato alla giacca. Chi vorrà andarsene in sella a moto superiori a 600cc, dovrà mettersi anche i pantaloni, oltre a tutto il resto, con protezioni a fianchi e ginocchia. Nessun riferimento, invece, alle calzature.
Naturalmente, i capi dovranno essere tutti omologati, e perfino chi tratterà la vendita di materiale non dotato delle necessarie caratteristiche sarà sanzionato.
L’interiezione che ci sovviene è semplice, pur nella sua complessa origine: bah!
Non è nostra intenzione offendere chi, non abbiamo dubbi sulla sua buona fede, abbia intessuto un disposto normativo così complesso, ma in uno stato nel quale non si riesce ancora a far rispettare in maniera omogenea sul territorio un obbligo così semplice e importante come il casco, come si può spingersi in un ambito così difficile?
Ancora: abbiamo una rete viaria al collasso, nella quale – è vero – gran parte della letalità è certamente a carico dei motociclisti, ma perché non ci si sofferma prima su obblighi assai più semplici da realizzare (e doverosi), come la messa in sicurezza delle strade?
In questi anni si è sempre fatto un gran parlare di guardrail: rivendichiamo come Asaps un ruolo importantissimo in questo settore, visto che la nostra prima inchiesta sull’argomento è stata trattata sulla rivista Il Centauro nel novembre 2002 e rappresenta una delle prime in assoluto.
Eppure, nonostante la tecnologia sia già riuscita a mettere a punto tipologie di barriere in grado di limitare fortemente le lesioni da impatto per i centauri, sono rarissimi gli esempi di arterie messe in sicurezza. Di più: quasi nessun ente proprietario di strade (ANAS compresa) è oggi obbligato a togliere le vecchie e letali barriere. Non è tutto: restano, sulle vie di fuga, segnali inutili, manufatti di ogni tipo, pietre miliari e alberi.
Si poteva, ma non si è fatto ancora nulla.
Inizialmente, lo confessiamo, abbiamo intrinsecamente condiviso il grido di allarme di chi aveva accennato all’ennesimo favore fatto alle case produttrici di accessori, ma oggi siamo più orientati a considerare la sortita primaverile delle nostre Camere alla stregua di un vero e proprio svarione.
Così tanto estemporaneo da non poter rientrare, nemmeno per sbaglio, nella logica di un favore fatto alla lobby delle grandi marche di abbigliamento, perché sarebbe così pesante il fardello per il motociclista che anche l’attaccamento dei più affezionati biker alla propria amatissima due ruote sarebbe messo a dura prova.
Il che, se da una parte ci lascia sbigottiti per la superficialità con cui certi argomenti vengono trattati, non ci esime dal fare le debite considerazioni tecniche.
Scorrendo con ordine il testo del modificato articolo 171, la prima cosa che balza all’occhio è l’assenza di modifiche per i ciclomotoristi. Eppure, se prendiamo per buono il rapporto Istat del 2008 (l’ultimo disponibile) le vittime tra i conducenti e trasportati dei cinquantini sono state 294 morti e 28.216 feriti: parliamo, rispettivamente, del 7,2 e del 9,7% del dato complessivo.
Non siamo fisici, ma non ci risulta che le lesioni traumatiche da impatto, da compressione o da decelerazione siano legate alla potenza o alla cilindrata dei veicoli. Semmai, questo sì, dalla velocità che gli stessi hanno al momento dell’incidente: una persona adulta, del peso di 70 kg, arriva a pesare oltre 7 tonnellate alla velocità di 50 km/h: un limite di velocità in vigore in tutte le aree urbane del mondo.
Sulle strade urbane italiane, sempre nel 2008, si sono verificati 168.088 incidenti, il 76,8% del totale, con 2.076 morti (43,9%) e 228.325 feriti (73,5%).
Peraltro, i conducenti di ciclomotori e dei motocicli di cilindrata più piccola, come ad esempio la 125 (per questi ultimi la novità riguarda solo il casco integrale), rappresentano generalmente una fascia di utenza che si approccia alla strada e, dunque, se la ratio del disegno di legge A.S. n. 1.720 fosse effettivamente quella di generare sicurezza, si tratterebbe senz’altro di un clamoroso passo falso.
Non solo per quanto appena accennato, ma anche perché finirebbe col distruggere una mobilità alternativa a quella assai più inquinante e ingombrante delle quattro ruote.
Infatti, visto che gran parte degli scooter immatricolati appartiene a cilindrate maggiori alla 125, è impensabile ritenere che un qualsiasi scooterista che debba recarsi al lavoro, lo faccia bardato come Valentino Rossi.
È solo un signor Rossi qualunque, che, a differenza dall’amatissimo campione, deve andare a lavorare e che, probabilmente, già indossa camicia e cravatta sotto un buon giubbotto protettivo e fa già uso di un casco, magari modulare, di alta qualità.
Dunque, un elmetto di questo genere diverrebbe improvvisamente illegale?
Sarebbe, oltre che un danno incredibile per tutti, un caso unico al mondo.
In Francia, in Spagna, in Portogallo o in Gran Bretagna, nessuno ha pensato a misure di questo tipo. È vero che quella su due ruote è una sinistrosità che evidenzia ovunque bilanci da far accapponare la pelle e che tarda a mostrare segnali di una vera regressione, ma anche qui ci parrebbe più opportuno partire da uno studio avanzato della incidentalità, distinguendo più gli ambiti che le cilindrate.
Sposiamo qui la tesi dell’AMI (Associazione Motociclisti Incolumi) che sostiene ormai da anni che è necessario distinguere tra causa di incidente e causa di lesione o morte.
Infatti, è ben difficile trovare sui passi montani – luoghi di grande pericolo – motociclisti impegnati in uscite con infradito e t-shirt. Le sommità del Falzarego o del Bracco, della Raticosa o di Bocca Trabaria sono, al contrario, una sorta di passerella di moda per tute, stivali, guanti e protezioni, segno che in questo campo il motociclista “incarognito” ha poco da imparare. Luoghi costellati però di “ghigliottine”, manufatti ed asfalti che definire letali è un eufemismo.
Semmai, in questo campo, ci sarebbe da lavorare sul rispetto delle regole, dunque sull’educazione civica, e su una sana politica di repressione fatta da uomini e donne in divisa in carne ed ossa, senza eccessive deleghe all’elettronica remota.
A proposito: lo sapranno i legislatori che regole del genere andrebbero estese a tutte le forze di polizia?
Insomma: non c’è nessuno, tra i motociclisti in uniforme, che abbia in dotazione casco integrale, paraschiena integrale e guanti da motociclista.
Ci sarà una copertura finanziaria che garantisca una dotazione del genere a tutti gli effettivi? Ci sono giacche con paraschiena integrato, ma – ad esempio – i guanti sono tutti acquistati personalmente.
L’unica eccezione sembra essere rappresentata dagli stivali da moto che, inspiegabilmente, il DDL A.S. 1.720 non prevede per nessuna categoria di motoveicoli.
In caso di impatto frontale, infatti, il guidatore di una due ruote viene proiettato in avanti ed eiettato, con rischio di lesioni in tutto il corpo, arti inferiori compresi. Oppure, pensiamo al caso del “coricamento”: la moto, a causa di una brusca frenata o di una perdita di aderenza, generalmente in curva, si corica su un lato in maniera solidale al conducente, continuando il suo moto verso la tangente fino a quando, per impatto o strisciamento, non avviene la separazione.
La gravità delle lesioni dovute all’impatto dipende sempre dal punto d’impatto (se è contro un guardrail o un palo la cosa si complica), dall’energia cinetica dal tempo in cui questa si azzera.
Quello che vogliamo dire è che conducente e passeggero di un motoveicolo corrono identici rischi – tra ciclomotori e motocicli – in contesti come quello urbano, dove anche le dinamiche sono spesso simili e dove la cilindrata non ha praticamente alcuna importanza. Dunque, prevedere una differenziazione delle dotazioni non ha alcuna logica apparente e pare più frutto di un’improvvisata e maldestra vocazione samaritana, che non tiene in alcuna considerazione gli aspetti tecnici veri, né le complicazioni che l’entrata in vigore di una norma così grossolanamente costituita porterebbe con sé.
Il moto turista che, ad esempio, percorre una strada della costa in pieno agosto, può ancora considerare gradevole una vacanza di questo genere? Il biker che passeggia godendo del paesaggio e del clima, avendo magari riposto il giubbone nel bauletto, che ha magari indossato guanti a mezze dita ed un casco aperto, non pone generalmente a rischio la propria incolumità, perché mantiene velocità ridotte ed evita, conscio dei rischi, di piegare eccessivamente. Pensiamo ad uno straniero che viene in Italia: dovrebbe cambiare casco e giubbotto per poi poter circolare in sandali?
No, fateci il piacere.
da www.asaps.it

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